In Marocco, l’Aîd Al-Adha è l‘Aîd El-Kebir. Una festa per eccellenza. I montoni, per le virtù che sono predestinati, occupano uno spazio centrale nell’immaginario marocchino e quindi nella scelta dell’animale da sacrificare. “Timahdite“, “Sardi” o “Beni Guil” al profumo di artemisia, carne di montone per tutti i gusti perchè, è risaputo, l’Aîd El-Kebir e in primis l’occasione per i marocchini di farsi una bella abbuffata di cibo. Qualche giorno dalla fatidica data (martedi’ 9 dicembre), Aziz è molto preoccupato. Guardiano in una Brasserie casablanchese, veglia in permanenza alla sicurezza del locale in cambio di un misero salario: 1.000 dh (circa 90 euro). Diventa difficile poter offrire alla sua famiglia il prezioso ovino. Ma qualche habitués del locale ha promesso di aiutarlo e di riunire la somma necessaria all’acquisto del montone.
Un montone di buona taglia costa quest’anno tra i 3.000 e i 4.000 dh.
Aîcha. venditrice ambulante, rumina i suo tristi pensieri. Gira in lungo e in largo la città per vendere i suoi chewing-gum e i suoi Kleenex, ma ragranellare 400 dh (38 euro) che rappresentano il suo scotto da pagare alla famiglia, per la festa, diventa impossibile. Malika invece, donna delle pulizie, per non privare sua madre e i suoi due bambini di festeggiare l’Aîd El Kebir, ha venduto il suo braccialetto, il solo bene che possedeva. Queste donne non sono un esempio isolato. Numerosi sono gli sfortunati che vendono le loro poche cose per festeggiare con fierezza la grande festa. Tappeti, coperte, piatti in ottone o in argento, televisori e diversi oggetti indispensabili sono in attesa di compratori nei mercati che sorgono spontanei nelle strade della città. Quest’anno il montone costa molto e diventa un impresa ardua nel già misero budget familiare. Anche i salariati e i funzionari delle varie gategorie si affidano ai microcrediti delle banche o delle società specializzate, come per gli acquisti di cucine o automobili.
Ci si domanda chi, tra l’uomo e l’animale, è l’oggetto del sacrificio…
Il prezzo del sacrificio non è solo l’animale immolato. Non sarebbe più saggio rinunciare piuttosto che rovinarsi ancora e ancora? Se voi fate questa domanda ad Aziz, la risposta adirata è la seguente: “Vi state prendendo gioco di me? Che cosa penserebbero di me i familiari, i miei bambini, se non sono in grado di offrirgli nemmeno un montone, non sarei più un uomo ai loro occhi. Mi rinnegherebbero, piuttosto mi impicco ma non posso dare a loro questa impressione“. Per la gente umile, del popolo, l’Aîd El-Adha non ha prezzo. Sono pronti a tutto pur di trovare i mezzi per celebrarla. La venditrice ambulante si converte, senza vergogna, mendicando, chiedendo l’obolo ai suoi clienti dei Kleenex: “Non arrossisco per quello che faccio perchè se non ricorro alla carità della gente non potrei fare la festa come tutti, e questa festa è sacra per me“.
L’Aîd El-Adha.
Per mettere alla prova Abramo, Dio gli ordina di immolare suo figlio, Ismaele (vedi anche alla Cat.Religione – Aid El Kebir 2008). In segno di obbedienza Abramo si appresta ad eseguire l’ordine divino, quando sente una voce che gli ordina di interrompere il suo gesto. Questo sacrificio è commemorato ogni anno dal giorno dell’Aîd Al-Adha. In Marocco, il senso di questo rituale non è sovente perseguito, come conferma il suo nome, Aîd El-Kebir, la Grande Festa. “La sostituzione di Aîd E-El Kebir all’Aîd Al-Adha non è fortuita“, commenta il filosofo Otmane Benalila, “questo significa che i marocchini hanno trasformato una festa rituale in una festa tout-court. Quindi un momento di gioia, di leggerezza, di allegria che si sviluppa anche con danze e canti. Ma anche un momento dove si esaltano le nostre virtù profonde, la generosità che si manifesta con i doni ai più sfortunati, dallo scambio di cibo e dalla condivisione“. Non si puo’ che non sottoscrivere questa affermazione. Aggiungendo che l’Aîd El-Kebir non è una semplice festa, ma la festa per eccellenza e perchè appunto, l’animale che viene sacrificato, il montone, é l’icona irraggiungibile, l’agognato traguardo annuale.
” Un montone senza corna? Non lo vorrei per niente al mondo”.
Più il montone è bello, sano e in carne, più il suo sacrificio puo’ prodigare tutta la sua “Baraka” (benevolenza). Per questo deve essere vivo , perche la “Baraka possa avere il suo effetto. La maggiorparte dei marocchini disdegnano i supermercati, malgrado le loro offerte vantaggiose e frequentano, in questa occasione, i souks (mercati), dove rischiano di farsi abbindolare. Abdellatif, insegnante in un collegio, prima di acquistare l’animale, si prende tutto il suo tempo; giudica, valuta, scruta, soppesa. Il “Sardi” (80/90 cm al garrese, 70/100 kg di peso), senza dubbio in ragione del suo muso nero, dei suoi occhiali intorno agli occhi e le sue corna imponenti, seduce i marocchini. A torto, Abdellatif vi dirà che il suo gusto lascia a desiderare e il suo peso lo rende leggero e poco consistente nelle sue carni. Il montone “Timahdite ” del Medio Atlas si riconosce per il suo colore bruno e non ha grandi estimatori. Gli amatori invece dei grandi animali, secondo il nostro esperto Abdellatif, trovaranno “pane per i loro denti” nella razza “Boujaad“, dalla testa color zafferano che accentua il suo candore. Ma i palati raffinati dovranno avvicinarsi al “Beni Guil“. Questi animali si nutrono prevalentemente di artemisia, sul plateaux centrale dell’Orientale, quindi possiedono una carne tenerissima. Sfortunatamente, per quelli che hanno gli occhi più grandi della pancia, questa razza è squalificata in ragione della sua taglia media e del suo peso (50kg circa). In questo affare sono le donne che hanno sempre l’ultima parola. Se i loro mariti si presentano con un montone non conforme a certi criteri il rischio è, per il coniuge, di assistere ad una vera e propria crisi isterica. “L’anno scorso ho acquistato un montone una settimana prima della festa, ma mia moglie trova sempre dei difetti rispetto al montone dei vicini. Quest’anno attendo che i vicini acquistino il loro montone per poterne comprare uno simile al loro, secondo la volontà di mia moglie“, dichiara Hamuda guardando storto la sua metà. Una volta che il montone è penetrato nella sua ultima dimora, è trattato con cura e dedizione. Poi brutalmente affamato alla vigilia del sacrificio, senza ragione. I suoi belati fendono il cuore. Ma i coltelli si affilano. L’impazienza è tangibile. Dopo la preghiera dell‘Aîd, si passa all’azione. Generalmente è l’uomo più anziano della famiglia o un macellaio che si incarica dell’esecuzione.
In un tempo da record sgozza il montone, lo scuoia, lo svuota e lo aggancia come un semplice coniglio. Le donne lavano, poi sospendono il fegato e il cuore, puliscono e mettono a seccare le trippe, arrostiscono la testa e le zampe. Dopo questo si passa alle cose serie, vale a dire la grande abbuffata. L’Aîd El-Kebir non è altro che ingozzarsi al’ennesima potenza. Secondo modi diversi, secondo le Regioni. Boufalf (spiedini di fegato), Couscous con spalla o con la testa e i piedi del montone, Bekbouka (trippe farcite), petto arrostito, Mrouzia ( carne con cipolle e uva passa)…, e tutte le declinazioni possibili. Qualche giorno dopo, non resta più niente del sacrificio, solo pelli da seccare al sole d’Africa. Il pittore Abdelkrim Ghattas ha pensato ad una installazione pttorica. Un opera d’arte? Piuttosto le stigmate di nozze barbare condotte a grandi passi da un marocchino sanguinario, con un animale candido e dolce.
Font: La Vie Economique – Tayeb Houdaîfa
Bene, chi avrà la fortuna di andare in Paradiso, troverà tantissimi montoni. I veri martiri innocenti, sono lori, gli animali.